venerdì 4 marzo 2011

IL DILEMMA DELL’INNOVATORE


Un concetto fondamentale per comprendere la dinamica industriale moderna è il cosiddetto “innovator’s dilemma”. Si tratta di una teoria che spiega molti dei fenomeni in atto nel sistema dell’innovazione competitiva delle imprese, un punto di vista sistematizzato in modo efficace in un famoso libro di Clayton Christensen, docente alla Harvard Business School.
Perché Google, considerata tra le aziende più innovative al mondo, con al suo interno migliaia di ingegneri competenti e creativi, che raccoglie alcune delle menti migliori al mondo in molti settori – dalla teoria delle reti all’intelligenza artificiale –ha la necessità di “mangiare” costantemente startup ? Parliamo di un processo molto rilevante, 25 acquisizioni dal settembre 2009 al settembre 2010, spesso formate da poche persone giovani, a colpi di 50-100 milioni di dollari l’una. L’azienda, che oggi ha una posizione dominante nel settore della search, per poter mantenere una dinamica di successo deve oggi cogliere nuove sfide radicali, come quelle legate alla combinazione della rivoluzione mobile e del cloudcomputing.  Questo processo ha un significato se lo leggiamo come dinamica di risposta ad un problema più ampio.
Il dilemma dell’innovatore riguarda l’incapacità delle grandi organizzazioni di cogliere innovazioni di tipo “disruptive” e non meramente incrementali. Il tipo di avanzamenti che non riguardano solo un aumento di performance o di efficienza del prodotto (rendere più veloce un software, aumentare la durata della batteria di un cellulare, ridurne il costo a parità di caratteristiche, etc.)ma che cambiano le regole del gioco. Si tratta di un problema strutturale legato alla crescita delle imprese e alla configurazione di incentivi interni, una dinamica riscontrabile in molti settori ed in diverse epoche storiche. Ci sono tuttavia eccezioni rilevanti, contesti in grado di spezzare questa dinamica e ad inventare nuovi mercati o reinventare quelli esistenti: si pensi al caso della Apple con l’iPod, l’iPhone e l’iPad.
Il caso dell’azienda di Steve Jobs non è scontato: nella maggior parte delle grandi organizzazioni il dilemma dell’innovatore prende il sopravvento. Il successo, la crescita e la redditività dei prodotti esistenti porta strutturalmente all’incapacità di innovare in modo radicale. Questo accade non perché le persone alla guida delle grandi aziende siano incapaci di ragionare strategicamente, ma perché la loro stessa impalcatura organizzativa cannibalizza e disincentiva le innovazioni dirompenti: queste spesso vanno contro i gusti espressi dai consumatori negli studi di mercato, possono generare bassi margini nelle fasi iniziali o, peggio ancora, vanno a sovrapporsi a prodotti che l’azienda già vende con successo. Il ciclo di vita delle organizzazioni, come mostrano autori come Christensen, porta fisiologicamente a questo processo.
Il superamento del dilemma dell’innovatore è oggi legato a varie ipotesi: sistemi di open innovation, acquisizioni, politiche strutturate per l’ingresso in nuovi mercati. Non c’è una soluzione predefinita, ma una cosa è certa: oggi le grandi organizzazioni hanno bisogno di sistemi per riprodurre all’interno lo spirito imprenditoriale e l’ingenuità creativa tipica delle starup, mettendo in piedi processi aziendali che favoriscano l’ideazione e la commercializzazione di innovazioni radicali.
(versione originale su Lo Spazio della Politica)

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