lunedì 30 aprile 2012

Peter Thiel, l'intellettuale delle startup


Un imprenditore ed investitore specializzato nell’alta tecnologia può essere un intellettuale? A questa domanda dobbiamo rispondere positivamente, se analizziamo il caso di Peter Thiel, fondatore di PayPal, noto venture capitalist e angel investor con The Founders Fund.
L’eco di Thiel, che per il suo investimento in Facebook compare in una scena di “The Social Network”, è giunto anche sui media italiani non specializzati. È stato recentemente nominato a “Otto e mezzo”, in una puntata dedicata alle polemiche sulle espressioni del viceministro Michel Martone, per il suo controversoprogramma di supporto delle iniziative imprenditoriali di giovanissimi studenti, lanciato con il vessillo di Mark Twain “I have never let my schooling interfere with my education”. Thiel ritiene infatti che il sistema educativo americano si basi su una bolla speculativa, in cui famiglie già pesantemente indebitate si accollano ancor più ingenti debiti per il college dei figli, che fornisce un titolo che genera aspettative irrealistiche sulle possibilità occupazionali.
Negli ultimi anni, Thiel è diventato un personaggio pubblico che cerca di interpretare il suo tempo, attraverso idee visionarie e polemiche, senza paura di muoversi nello “spazio della politica”. In alcune interessanti conversazioni con Niall Ferguson a Harvard e con Francis Fukuyama sulla rivista “The American Interest”, sintetizza la sua visione del mondo.
Thiel, a cui l’economista Tyler Cowen ha dedicato il libro The Great Stagnation, descrive la condizione del cosiddetto mondo sviluppato come “il luogo dove ci aspettiamo che non succeda più niente”. Nel recente passato, lo scetticismo sull’intervento dell’uomo sull’ambiente ha portato alla “proibizione per gli scienziati di sperimentare con le cose, permettendo loro di sperimentare solo coi bit”. Da ciò deriva da un lato la stagnazione relativa di molte discipline, dall’altra parte l’innovazione sempre più pervasiva e con maggiori ritorni economici che caratterizza l’informatica e la finanza. Le curve dell’innovazione e della stagnazione determinano le prospettive lavorative e le scelte degli studenti con maggiori capacità quantitative.
Contrariamente a quello che pensano in molti, Peter Thiel ritiene che il progresso tecnologico sia oggitroppo lento. Secondo il suo punto di vista, la scienza e le imprese tecnologiche, pur procedendo rapidamente, non riescono a tenere il passo con le sfide globali. Per questo, con una serie di inziative, come iBreakout Labs e la sua attività di angel investor, Thiel sta cercando di rompere numerose barriere, investendo in progetti di ricerca scientifica e startup tecnologiche che difficilmente potrebbero nascere con i criteri di selezione prevalenti al momento attuale, legati ad una forte avversione al rischio ed alla prevalenza di un’ottica di breve termine.
In politica Thiel, che parte da posizioni libertarie, non è però contrario all’idea di una pianificazione di lungo termine. Il suo problema, nell’analisi dell’America di oggi e dei modelli prevalenti nelle nostre società, è proprio l’assenza di un piano. Gli Stati Uniti si ritrovano con un governo pesante, ma privo di un “piano quinquennale”, o meglio un piano di qualunque tipo, una prospettiva di lungo periodo, visionaria e ostinata, da perseguire al di là dei fattori contingenti che influenzano l’attività politica.
(scritto in collaborazione con Alessandro Aresu, articolo originale qui)

mercoledì 4 aprile 2012

Gli algoritmi nel futuro della finanza


La versione estesa di quest’articolo é pubblicata su la Rivista Limes, sul numero ”A che serve la Democrazia?”
L’evoluzione dei mercati finanziari, dopo la crisi globale, è sempre più al centro del dibattito sociale e politico. La finanza è infatti il sistema nervoso del capitalismo, una struttura estesa, astratta e dinamica che accompagna il funzionamento di un’economia mondiale sempre più interconnessa. Nonostante la grande attenzione dedicata al settore, nel dibattito attuale non sono messi in luce alcuni elementi fondamentali che ne stanno guidando l’evoluzione. In particolare, possiamo notare come oggi le tecnologie informatiche non abbiano soltanto una valenza infrastrutturale, di supporto all’esecuzione delle decisioni di investimento, ma sono sempre più il centro della dinamica del settore. Algoritmi e agenti virtuali sono coinvolti nel trading, producendo ed eseguendo in modo autonomo importanti movimenti di titoli e di capitali.
Il trading algoritmico o “algotrading” è l’utilizzo evoluto di programmi e sistemi automatici per la definizione del prezzo, della quantità e del timing degli ordini. In misura crescente accade che tali operazioni siano svolte senza l’intervento umano, che spesso si riduce alla gestione delle emergenze e ad un potere di veto sulle posizioni più rischiose.
Un caso di successo esemplare è quello di Renaissance Technologies, il fondo creato dal leggendario Jim Simons, che, con 23 miliardi di dollari di “assets under management”, vale a dire di fondi affidati da terzi, è uno dei principali hedge fund al mondo. In realtà, strutture come Renaissance Technologies non assomigliano tanto alle tradizionali istituzioni finanziarie, quanto a dei centri di ricerca: una porzione significativa dei dipendenti è infatti costituita da “quants”, persone con una formazione avanzata in matematica, fisica e metodi quantitativi che hanno l’obiettivo di costruire modelli e algoritmi sempre più avanzati, affrontando le tematiche finanziarie con modalità simili a quelle con cui si svolgono ricerche nell’ambito delle scienze naturali.
Negli ultimi anni ha assunto una particolare rilevanza l’high frequency trading, la negoziazione di operazioni ad alta frequenza, una forma particolare di trading algoritmico, legata alla capacità dei programmi automatizzati di produrre ed eseguire decisioni di investimento ad un ritmo molto superiore a quello umano. L’impatto di queste tecnologie è già molto importante: soltanto dal 2005 al 2009, l’incidenza dell’HFT nei mercati azionari è cresciuta del 164% e, negli Stati Uniti, questa forma di gestione delle operazioni governa, in volume, oltre il 70% delle transazioni. Secondo delle stime recenti l’high frequency trading nel 2010 ha mosso il 56% del valore delle negoziazioni di titoli azionari negli Stati Uniti, il 38% in Europa e dal 10 al 30% in Asia. Singole aziende come Getco, fondata poco più di 10 anni fa, ora possono arrivare a gestire il 10% delle transazioni su alcune piazze.
In particolare quest’ultimo trend sta modificando la configurazione dei mercati, causando mutamenti le cui conseguenze non sono ancora pienamente comprensibili. Ad esempio ci sono stati alcuni episodi, come il “flash crash” del 6 Maggio 2010, il più elevato crollo intra-day dell’indice Dow Jones mai verificatosi, nel corso del quale si è manifestata una discesa di 900 punti recuperata dopo pochi minuti. L’interpretazione di questo evento è tuttora controversa. Un’indagine della Securities and Exchange Commission e della Commodity Futures Trading Commission ha affermato alcune responsabilità degli attori legati all’high frequency trading nell’aumentare la volatilità. Numerosi studi empirici sono giunti a conclusioni diverse, ad esempio uno studio della Kauffman Foundation, che ha attribuito la responsabilità sugli exchange traded funds. Alcuni sostengono anche che l’HFT abbia un ruolo principalmente sano dentro i mercati, dato che gli attori che utilizzano queste tecniche aggiungono liquidità e rendono più efficiente la struttura dei prezzi. Il dibattito è ancora aperto e, con il diffondersi di queste tecnologie, probabilmente si acuirà nei prossimo anni.