venerdì 25 marzo 2011

L’UNIVERSITÀ TRA PASSATO E FUTURO


Si parla spesso di università con le categorie sbagliate, focalizzandosi unicamente sul dibattito locale  e sulla contingenza politica. In realtà la discussione sulla riforma dei sistemi di educazione superiore è vivissima su scala internazionale e stanno uscendo numerosi testi a riguardo, ad esempio Engines of Innovation: The Entrepreneurial University in the Twenty-First CenturyThe Great Brain Race: How Global Universities Are Reshaping the World e DIY U: Edupunks, Edupreneurs, and the Coming Transformation of Higher Education.
Un filo conduttore di questi libri è la ricerca di modelli di formazione e ricerca capaci di reggere il passo con la complessità del mondo attuale, tendendo verso strutture aperte al mondo esterno, meritocratiche e dotate di proiezione globale. Focalizziamoci su Engines of Innovation di Holden Thorp e Buck Goldstein.
Il testo analizza le modalità con cui le università possono diventare luoghi più imprenditoriali. Non si tratta di qualcosa di nuovo, tantomeno di una moda, ma di un ritorno al passato. Il fenomeno che ha portato i centri accademici ad essere strutture burocratiche e compartimentate, con una rigida divisione tra discipline e spesso una scarsa comunicazione con il mondo esterno, è relativamente recente. Fin dall’antichità i centri di sapere sono stati dei “magneti” capacità di attrarre risorse, persone di talento e idee. Oggi, sostengono gli autori, le università più efficaci hanno la capacità di avere un approccio intraprendente nella gestione dei processi formativi e dei progetti di ricerca. Questo significa essere più rapidi, innovativi, capaci di assumere alcuni rischi, gestendo in modo dinamico e flessibile l’interazione tra risorse di natura differente (derivanti dal settore pubblico, da aziende, da organizzazioni filantropiche, da endowments, dalla rete di alumni, etc.), abbattendo i muri sia interni, che impediscono la collaborazione interdisciplinare, sia quelli esterni, che impediscono uno scambio di informazioni ed esperienze con il mondo esterno.
In secondo luogo, il libro si focalizza su come insegnare l’imprenditorialità. Nel mondo attuale la ricchezza e l’occupazione sono create in misura sempre maggiore da nuove aziende, sia in settori ad alta crescita (ICT, biotech, medicale, cleantech, etc.) sia  in settori tradizionali affrontati con un approccio innovativo (come sta accadendo, ad esempio, nell’enogastronomia e nel turismo). E’ un dato molto importante che trascende le discipline tecniche ed economiche: la capacità di creare progetti indipendenti e innovativi è essenziale nei percorsi di carriera correlati a tutte le aree del sapere. Si pensi, ad esempio, alla tematiche della social entrepreneurship e della social innovation, vale a dire l’utilizzo di tecniche imprenditoriali, con focus sulla professionalità e sulla capacità di superare i paradigmi operativi esistenti, per la soluzione di problemi sociali ed ambientali. La creazione di impresa è stata al centro di alcuni progetti formativi di successo, come lo Stanford Technology Ventures Program, e possiamo citare anche degli esperimenti che coinvolgono il nostro paese, come le borse Fullbright BEST.
Infine, il testo analizza la questione dell’organizzazione accademica: i ruoli, la governance, la leadership, le strutture, devono essere in linea con l’obbiettivo della flessibilità e dell’apertura. Questo significa anche un certo livello di tolleranza per il rischio, componente fisiologica dei progetti di natura innovativa. Vuol dire anche una capacità di gestione delle risorse e della complessità che aumenta rispetto al passato, dato che team multidisciplinari che attingono a fonti di finanziamento eterogenee sono difficili da gestire, oltre che nel lato relazionale, anche da un punto di vista amministrativo. Si tratta quindi di un processo di maturazione che deve essere progettato accuratamente, ma che può dare grandi frutti, rendendo le istituzioni accademiche capaci di contribuire maggiormente allo sviluppo culturale, economico e sociale.
Molte delle posizioni sostenute da Thorp e Goldstein sono di grande importanza per il caso italiano, dove la rigidità e la chiusura del sistema accademico sono molto più rilevanti in comparazione con altri contesti. Su questo versante c’è molto da fare: è di grande importanza un’apertura al dibattito internazionale ed una spinta che possa rendere il sistema di istruzione più efficace nel reggere le sfide degli anni a venire.
(articolo originale su Lo Spazio della Politica)

martedì 15 marzo 2011

L’ONDA LUNGA DELLA POLITICA 2.0


(da Lo Spazio della Politica)    Tra pochi giorni partirà il corso sulla Politica 2.0 organizzato in collaborazione da Ninjamarketing e Lo Spazio della Politica.  Quando ci riferiamo all’interazione tra politica e nuovi media non ci riferiamo solo ai trend degli ultimi anni, vale a dire all’aumento della “scrivibilità” di internet e la diffusione degli strumenti di interazione sociale in rete. Quest’onda di innovazione è parte di un fenomeno più profondo, che, anche se meno visibile, la precede e la supera.
I fenomeni sociali oggi vivono ad ondate costanti l’impatto delle “curve di Kurzweil”, vale a dire il fatto che in alcuni ambiti delle tecnologie dell’informazione si riscontra una crescita di tipo stabile ed esponenziale. Si tratta di un’osservazione che estende la nota legge di Moore, una dinamica riscontrabile in particolare nel rapporto costo/ prestazioni (tempo di computazione, capacità di memoria, velocità di comunicazione) ed in alcuni miglioramenti qualitativi, come l’estensione degli ambiti applicativi delle tecnologie esistenti. Qualche esempio: ogni 1,6 anni si dimezza il prezzo medio dei transistor, ogni 1,8 anni raddoppia la performance dei processori (in termini di MIPS), ogni 1,5 anni si dimezza il prezzo delle memorie DRAM. Si tratta di trend che nel medio termine molto probabilmente continueranno, anche se rallentati dal fatto che in altri ambiti – ad esempio nello sviluppo del software o dei sistemi di formazione sulle nuove tecnologie – i ritmi di miglioramento sono più graduali.  Senza limitarsi ad un facile determinismo tecnologico, è possibile sostenere che l’impatto politico delle tecnologie digitali nei prossimi anni sarà crescente e pervasivo.
E’ verosimile sostenere che nei prossimi dieci anni, il nostro modo di vivere e di lavorare sarà ulteriormente trasformato da nuovi strumenti con la capacità di scalare rapidamente da zero a diverse centinaia di milioni di utenti, come hanno fatto negli anni scorso Google, Facebook, Youtube, Twittered altre startup di successo. Pur non potendo predire cosa succederà, è possibile identificare alcuni trend:
a) Le tecnologie digitali trasformeranno ulteriormente l’ecosistema dei media e, di conseguenza, i processi di influenza sociale, compresa la politica.
b) La connettività sarà sempre più pervasiva, portando la rete ad essere potenzialmente accessibile sempre e dovunque tramite smartphone, tablet o altri strumenti che verranno industrializzati nei prossimi anni. Questo trend è correlato al fatto che potenza computazionale, disponibilità di memoria e portabilità crescono con una simultanea riduzione dei costi.
c) Continuerà il processo di digitalizzazione potenziale di ogni tipo di evento/ informazione con una “risoluzione” crescente. Ieri è successo per il sapere enciclopedico e gli articoli scientifici, oggi sta accadendo per il grafo sociale degli individui e per i contenuti video/audio, domani potrà accadere per i nostri dati biometrici e per gli oggetti in nostro possesso.
d) Come conseguenza del punto precedente, una porzione crescente dell’identità individuale sarà presente in rete: relazioni, dati personali, attività lavorative e di svago. Una quota rilevante delle nostre attività fondamentali, come la ricerca di lavoro e l’elaborazione di decisioni chiave, già si svolge o si svolgerà in rete.
e) Il processo di digitalizzazione del mondo fisico procederà anche nell’altro verso: la proiezione della rete nel mondo fisico, quello che in molti chiamano “realtà aumentata”. La densità di informazioni e l’interconnessione, caratteristiche del mondo digitale, potranno essere agganciate agli oggetti ed ai contesti della vita quotidiana.
f) Il cloudcomputing, vale a dire l’utilizzo di risorse computazionali e di storage in remoto, amplificherà alcuni dei trend precedenti, come quello relativo alla portabilità. Il software, lo spazio di archiviazione e la potenza computazionale saranno come l’energia elettrica o il gas, qualcosa a cui attingere in rete a seconda delle esigenze specifiche.
g) Come trend generale, aumenterà probabilmente la quota di valore aggiunto, in ogni prodotto o servizio, legata alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Questo sta accadendo anche in settori tradizionali, come l’agricoltura e l’estrazione mineraria, o ad alta intensità di lavoro. Interi settori hanno già rivoluzionato, come nel caso della musica, o stanno rivoluzionando, come nel caso dell’editoria, il proprio modello di funzionamento.
h) Ci saranno altri effetti a cascata di natura settoriale: l’aumento dell’intelligenza media delle tecnologie in ambiti eterogenei (dagli armamenti ai dispositivi chirurgici), la disponibilità on-line gratuita di tutta la conoscenza accademica e scientifica consolidata, la facilitazione delle operazioni di remix culturale. Più in generale, l’accelerazione tecnologica amplificherà altri processi di cambiamento già esistenti, velocizzandoli e radicalizzandoli.
Il contesto appena descritto non è esente da criticità: l’ambiente politico-istituzionale si sviluppa in modo asincrono rispetto alla tecnologia. La legislazione, l’opinione pubblica, il sistema dell’istruzione e l’agenda politica si adeguano con tempi differenti: l’impatto potenziale – i benefici ed i rischi – di alcune tecnologie possono non essere immediatamente evidenti. Si possono quindi produrre regolazioni inadeguate, conflitti giudiziari ricorrenti, disinformazione, forme di ostilità/luddismo, forme di ottimismo o pessimismo irrazionale, perdita di opportunità (per l’economia, l’istruzione, l’ambiente, lo sviluppo sociale).
Non tutti gli sviluppi saranno positivi, le tecnologie ad elevato impatto sociale, come la televisione, il cinema e la radio, sono state utilizzate e sono impiegate ancora oggi anche per la manipolazione e l’oppressione. Certamente un decisore pubblico, come chi lo supporta o lo aiuta a raggiungere la posizione, dovrà essere cosciente che le tecnologie digitali e di rete avranno un impatto significativo sulla società e che le leve dello sviluppo, della coesione sociale e dell’influenza politica saranno legate in misura crescente ad esse.

domenica 13 marzo 2011

Megacomunità: governare la complessità con un approccio multi-stakeholder


Mark Grencser, Reginald Van Lee, Fernando Napolitano, Christopher Kelly, Megacommunities: How Leaders of Government, Business and Non-Profits Can Tackle Today’s Global Challenges Together, Polgrave Macmillan, 2008; tr. It. Megacomunità: Come i leader di governo, delle aziende e della società civile possono gestire le grandi sfide globali, insieme, Il Sole 24 Ore, 2009.
http://www.megacommunities.com/

Viviamo una crisi simultanea delle principali istituzioni che sorreggono la nostra vita associata: governi, partiti, aziende, organizzazioni religiose, enti locali, ONG. Un numero crescente di problemi sembra uscire fuori dal “campo di influenzabilità” che tradizionalmente le caratterizzava: la dinamica sociale della globalizzazione esprime una complessità incomprimibile, un proprietà che la struttura di molte organizzazioni non riesce a cogliere pienamente.  Allo stesso tempo, stanno emergendo dei modelli di aggregazione che permettono di superare molti dei limiti del passato. In particolare, ha un successo crescente la creazione di spazi di incontro, discussione ed elaborazione di natura multi-laterale, capaci di aggregare attori eterogenei e di produrre accordi di tipo win-win. Si tratta di luoghi di interazione che fondano la loro influenza sul potere dei network, in alternativa ai tradizionali strumenti legati all’impatto dello stato o dei mercati. Questo approccio non riproduce necessariamente i limiti dei forum di natura rappresentativa: sono infatti inclusi solo gli attori percepiti come rilevanti, offrendo a ciascuno uno spazio proporzionale al contributo effettivo che è in grado di apportare. Le reti tra organizzazioni nascono per aumentare la probabilità di risolvere problemi complessi, consentendo di affrontare in modo coordinato tutte le sfaccettature che li caratterizzano.

Un gruppo di consulenti della Booz Allen Hamilton’s ha costruito una nuova formalizzazione di questo processo, legata al concetto di “megacomunità”. L’intersezione tra attori legati al business, alle attività governative e alla società civile permette, secondo questo punto di vista, di offrire un framework adeguato per la soluzione dei problemi più complessi che si presentano nel mondo attuale. Le sfide contemporanee sono in fatti di natura estremamente fluida, caratterizzate dall’imprevedibilità e dall’interconnessione tra diversi piani di riferimento economici, politici, tecnologici e sociali. Questo crea un deficit di leadeship da parte delle organizzazioni tradizionali, dato che nessuna singola metodologia di azione permette di affrontare in modo adeguato le nuove questioni. Una megacommunity ha quindi l’obiettivo di “aprire i network”, consentendo di attingere alle risorse cognitive e relazionali di un pool allargato di partecipanti. Si tratta di un ragionamento analogo a quello portato avanti da Klaus Schwab nel World Economic Forum, vale a dire la governance multi-stakeholder, un sistema basato sulla costruzione progressiva di un punto di vista comune tra attori eterogenei. Questo è un modo di agire che è stato recentemente oggetto di interessanti pubblicazioni  e che ha dimostrato un successo crescente nella sua applicazione empirica.

I concetti di megacomunità e approccio multi-stakeholder si avvalgono delle nozioni sviluppate di recente dalla teoria dei network, dall’economia comportale e dalla dinamica dei sistemi: si cerca in modo esplicito di costruire reti robuste, capaci di auto-organizzarsi nel tempo e in grado di allineare le speranze e le aspettative dei partecipanti. Lo scopo di questi network multilaterali è la creazione di un cambiamento di lungo periodo, sostenibile in modo credibile da una serie di attori le cui agende sono potenzialmente in conflitto. Per fare questo, nel corso della nascinta di una megacommunity è necessaria una fase di elaborazione e confronto, finalizzata alla creazione di una visione di tipo macroscopico e inclusivo, che abbia la capacità di far convergere gli obiettivi di lungo periodo dei principali attori in gioco. I legami esistenti tra le diverse organizzazioni devono rafforzarsi, allineando i loro schemi cognitivi e consentendo la formazione di una rete di ordine superiore. La costruzione di questonetwork capital permette quindi di affrontare al meglio, in modo efficace e sostenibile nel tempo, l’iper-complessità che caratterizza le principali sfide della nostra epoca.

(articolo originale sul blog di Vision)

giovedì 10 marzo 2011

VIVERE, SOPRAVVIVERE ED EVOLVERE IN UN MONDO IMPREVEDIBILE


Cosa accomuna Hezbollah e Google? La capacità di mutare e adattarsi: sono entrambe organizzazioni in perenne co-evoluzione con i propri ambienti di riferimento, dei contesti politici, sociali e tecnologici caratterizzati da una forte instabilità e imprevedibilità. Secondo Joshua Cooper Ramo, managing director di Kissinger Associates, questo è il segreto di tutti gli attori capaci di avere successo nel mondo contemporaneo, come spiega nel suo nuovo libro The age of unthinkable: why the new world disorder constantly surprises us and what we can do about it (Little Brown and company, New York 2009).
Questo non implica certo un giudizio di natura morale, i mezzi e le finalità di alcune di queste organizzazioni sono piuttosto discutibili. Ma l’osservazione centrale è degna di nota: il contesto attuale è caratterizzato da un livello elevatissimo di complessità, dall’interconnessione globale dei fenomeni economici e politici, dalla presenza di novità radicali che producono una struttura di rischi sempre più incomputabile. In un ecosistema sociale di questo tipo, solo le organizzazioni capaci di apprendere possono sopravvivere e influenzare in modo determinante l’ambiente in cui si trovano. La capacità di creare e innovare è l’attitudine più importante per chi si muove in zone fortemente instabili, dove piccoli eventi possono avere conseguenze macroscopiche e dove diventare “prevedibili” significa fallire.
L’analisi di Ramo è in parte analoga a uno dei classici della letteratura manageriale degli anni ’90, come The Fifth Discipline: The Art & Practice of the Learning Organization di Peter M. Senge, o ad alcuni studi contemporanei sulle pratiche di gestionali innovative, come l’interessante testo The Future of Management di Gary Hamel. Nonostante le somiglianze, sono presenti alcuni elementi innovativi: Ramo integra i suoi ragionamenti sul futuro delle relazioni internazionali con il filone di studi portato avanti dal Santa Fe Institute, il maggiore centro di ricerca legato al paradigma interdisciplinare della complessità e della network science. In particolare quest’ultimo approccio sembra particolarmente promettente: esso non permette di prevedere l’evoluzione dei sistemi complessi, cosa sotto molti aspetti impossibile, ma fornisce un framework con cui comprenderne in modo migliore la struttura e la dinamica. Gli operatori delle relazioni internazionali, del management, della lotta politica, della scienza possono aumentare la propria efficacia se comprendono a fondo la natura rizomatica dei rispettivi ambiti di appartenenza e se riescono ad agire in modo pro-attivo all’interno delle proprie reti operative.
Molti dei fenomeni contemporanei più rilevanti, dal crollo dell’URSS all’11 Settembre, da Obama al Web 2.0, sono stati caratterizzati da un’imprevedibilità radicale. Anche quando teorizzati da alcuni visionari, come per l’evoluzione di Internet, nella loro materializzazione hanno sorpreso gli analisti più esperti per la rapidità e la profondità degli effetti. Come proteggersi dalla continua rivoluzione e ri-definizione del nostro ambiente ? In primo luogo bisogna adottare un approccio basato sulla deep security: focalizzarsi sulle variabili invisibili, meno urgenti, ma determinanti nel lungo periodo. E’ quello che fa Google, permettendo ad alcuni suoi collaboratori di allocare il 20% del proprio tempo di lavoro a progetti di sviluppo indipendenti, ad alto rischio e alto livello creativo. E’ quello che fanno alcune organizzazioni politico-militari che, invece di focalizzare il 100% delle proprie risorse nelle azioni belliche, costruiscono case e forniscono servizi di base per guadagnare il favore della popolazione. Questo vale anche per il contesto macroscopico: hanno successo nel lungo periodo gli stati che investono nella ricerca scientifica, nell’istruzione e nell’adattamento costante del proprio assetto istituzionale. Focalizzarsi su queste variabili “lente”, non urgenti ma di impatto elevato, permette di affrontare con delle basi solide i traumi generati dai contesti operativi ad alto livello di complessità.
Il passo ulteriore è quello di creare il proprio ambiente. Un attore di successo è quello che rivoluziona costantemente se stesso, assumendosi dei rischi in modo intelligente, reinventando il proprio contesto operativo, scrivendo nuove regole e spiazzando continuamente gli avversari.
(Articolo originale su Lo Spazio della Politica)

GAY ECONOMICS


(articolo originale su Lo Spazio della Politica)
La comunità di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali è normalmente analizzata da un punto di vista sociale e culturale: si discute spesso su come superare l’omofobia, di come creare un clima giuridico più aperto o di come si stia evolvendo la produzione musicale e letteraria correlata. Se escludiamo l’industria dei consumi, si parla molto meno dell’impatto economico.
E’ invece importante sottolinearne l’effetto dal punto di vista della produzione, proprio quando si parla di innovazione e impresa (un primo accenno lo abbiamo fatto parlando di Peter Thiel). Esiste infatti una correlazione significativa, che alcuni misurano ad esempio con il “gay index”, tra il numero di persone LGBT, il livello di tolleranza che una società mostra nei loro confronti, ed il dinamismo economico di specifiche regioni o aree urbane. Inoltre, questo tipo di vantaggio è concentrato specificamente nell’industria high tech e non è limitato a settori, come il fashion, che tradizionalmente sono associati a questo segmento di popolazione.  Alcune aziende, come Google e Facebook , hanno alcuni tra i loro ruoli fondamentali – dalla finanza allo sviluppo di prodotto – assegnati a persone LGBT e sono in grado di farne un punto di forza, come si può vedere nel contributo alla campagna “It gets better” qui e qui.
La rilevanza della gay economics è crescente: per le economie avanzate è di fondamentale importanza innovare in modo costante i propri settori di punta, generando una base industriale in gradi competere su leve differenti rispetto al semplice abbassamento dei costi e sviluppando una società dove la “classe creativa” (la comunità di ricercatori, artisti, imprenditori, artigiani, etc.) sia in grado di prosperare. Uno dei fattori fondamentali che permette di attirare “talento, tecnologia e tolleranza” è proprio la capacità di creare un ambiente favorevole, dal punto di vista dell’apertura culturale e della regolazione giuridica, alla comunità gay.
E’ importante sottolineare che la line di ragionamento non si basa sul presupposto che i membri della comunità LGBT siano di per sé più o meno creativi, più o meno produttivi eticamente migliori o peggiori della media. Il fattore chiave è il contributo che la diversità esprime nelle società evolute. Questo accade perché:
a) Nei CDA e nelle varie funzioni aziendali, un livello maggiore di diversità – da un punti di vista di orientamento sessuale, provenienza geografica, formazione – favorisce il pensiero creativo, la soluzione dei problemi ed in ultima analisi la redditività. E’ empiricamente dimostrato come un eccesso di omogeneità nei sistemi decisionali delle organizzazione tenda a portare alla ripetizione degli errori e a non cogliere i cambiamenti che si avvicendano nella società e nella tecnologia.
b) Nei settori industriali ad alta crescita e nei servizi avanzati, dove la competizione si basa fortemente sull’acquisire capitale umano di qualità elevata, è irrazionale ridurre il pool di talenti escludendo persone per motivi legati all’orientamento sessuale, alla religione o all’etnia di riferimento. E’ un tema che è stato sviscerato, ad esempio, da Amy Chua. Le organizzazioni di maggiore successo sono in grado di essere aperte al contributo dei gay e cercano attivamente di ridurre le barriere sociali, economiche e culturali che ostacolano la possibilità coglierne le idee, creatività e capacità di lavorare.
Quando si parla di ripresa della ricchezza e dell’occupazione in Italia – un contesto dove spesso si cerca di innalzare nuove barriere culturali invece che abbatterle – ricordiamoci anche della gay economics.

sabato 5 marzo 2011

Un nuovo corso sulla Politica 2.0

A Roma il 24 e 25 Marzo un interessante corso sul rapporto tra tecnologie in rete e politica, maggiori informazioni su Lo Spazio della Politica e NinjaMarketing.

venerdì 4 marzo 2011

IL DILEMMA DELL’INNOVATORE


Un concetto fondamentale per comprendere la dinamica industriale moderna è il cosiddetto “innovator’s dilemma”. Si tratta di una teoria che spiega molti dei fenomeni in atto nel sistema dell’innovazione competitiva delle imprese, un punto di vista sistematizzato in modo efficace in un famoso libro di Clayton Christensen, docente alla Harvard Business School.
Perché Google, considerata tra le aziende più innovative al mondo, con al suo interno migliaia di ingegneri competenti e creativi, che raccoglie alcune delle menti migliori al mondo in molti settori – dalla teoria delle reti all’intelligenza artificiale –ha la necessità di “mangiare” costantemente startup ? Parliamo di un processo molto rilevante, 25 acquisizioni dal settembre 2009 al settembre 2010, spesso formate da poche persone giovani, a colpi di 50-100 milioni di dollari l’una. L’azienda, che oggi ha una posizione dominante nel settore della search, per poter mantenere una dinamica di successo deve oggi cogliere nuove sfide radicali, come quelle legate alla combinazione della rivoluzione mobile e del cloudcomputing.  Questo processo ha un significato se lo leggiamo come dinamica di risposta ad un problema più ampio.
Il dilemma dell’innovatore riguarda l’incapacità delle grandi organizzazioni di cogliere innovazioni di tipo “disruptive” e non meramente incrementali. Il tipo di avanzamenti che non riguardano solo un aumento di performance o di efficienza del prodotto (rendere più veloce un software, aumentare la durata della batteria di un cellulare, ridurne il costo a parità di caratteristiche, etc.)ma che cambiano le regole del gioco. Si tratta di un problema strutturale legato alla crescita delle imprese e alla configurazione di incentivi interni, una dinamica riscontrabile in molti settori ed in diverse epoche storiche. Ci sono tuttavia eccezioni rilevanti, contesti in grado di spezzare questa dinamica e ad inventare nuovi mercati o reinventare quelli esistenti: si pensi al caso della Apple con l’iPod, l’iPhone e l’iPad.
Il caso dell’azienda di Steve Jobs non è scontato: nella maggior parte delle grandi organizzazioni il dilemma dell’innovatore prende il sopravvento. Il successo, la crescita e la redditività dei prodotti esistenti porta strutturalmente all’incapacità di innovare in modo radicale. Questo accade non perché le persone alla guida delle grandi aziende siano incapaci di ragionare strategicamente, ma perché la loro stessa impalcatura organizzativa cannibalizza e disincentiva le innovazioni dirompenti: queste spesso vanno contro i gusti espressi dai consumatori negli studi di mercato, possono generare bassi margini nelle fasi iniziali o, peggio ancora, vanno a sovrapporsi a prodotti che l’azienda già vende con successo. Il ciclo di vita delle organizzazioni, come mostrano autori come Christensen, porta fisiologicamente a questo processo.
Il superamento del dilemma dell’innovatore è oggi legato a varie ipotesi: sistemi di open innovation, acquisizioni, politiche strutturate per l’ingresso in nuovi mercati. Non c’è una soluzione predefinita, ma una cosa è certa: oggi le grandi organizzazioni hanno bisogno di sistemi per riprodurre all’interno lo spirito imprenditoriale e l’ingenuità creativa tipica delle starup, mettendo in piedi processi aziendali che favoriscano l’ideazione e la commercializzazione di innovazioni radicali.
(versione originale su Lo Spazio della Politica)