giovedì 10 marzo 2011

GAY ECONOMICS


(articolo originale su Lo Spazio della Politica)
La comunità di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali è normalmente analizzata da un punto di vista sociale e culturale: si discute spesso su come superare l’omofobia, di come creare un clima giuridico più aperto o di come si stia evolvendo la produzione musicale e letteraria correlata. Se escludiamo l’industria dei consumi, si parla molto meno dell’impatto economico.
E’ invece importante sottolinearne l’effetto dal punto di vista della produzione, proprio quando si parla di innovazione e impresa (un primo accenno lo abbiamo fatto parlando di Peter Thiel). Esiste infatti una correlazione significativa, che alcuni misurano ad esempio con il “gay index”, tra il numero di persone LGBT, il livello di tolleranza che una società mostra nei loro confronti, ed il dinamismo economico di specifiche regioni o aree urbane. Inoltre, questo tipo di vantaggio è concentrato specificamente nell’industria high tech e non è limitato a settori, come il fashion, che tradizionalmente sono associati a questo segmento di popolazione.  Alcune aziende, come Google e Facebook , hanno alcuni tra i loro ruoli fondamentali – dalla finanza allo sviluppo di prodotto – assegnati a persone LGBT e sono in grado di farne un punto di forza, come si può vedere nel contributo alla campagna “It gets better” qui e qui.
La rilevanza della gay economics è crescente: per le economie avanzate è di fondamentale importanza innovare in modo costante i propri settori di punta, generando una base industriale in gradi competere su leve differenti rispetto al semplice abbassamento dei costi e sviluppando una società dove la “classe creativa” (la comunità di ricercatori, artisti, imprenditori, artigiani, etc.) sia in grado di prosperare. Uno dei fattori fondamentali che permette di attirare “talento, tecnologia e tolleranza” è proprio la capacità di creare un ambiente favorevole, dal punto di vista dell’apertura culturale e della regolazione giuridica, alla comunità gay.
E’ importante sottolineare che la line di ragionamento non si basa sul presupposto che i membri della comunità LGBT siano di per sé più o meno creativi, più o meno produttivi eticamente migliori o peggiori della media. Il fattore chiave è il contributo che la diversità esprime nelle società evolute. Questo accade perché:
a) Nei CDA e nelle varie funzioni aziendali, un livello maggiore di diversità – da un punti di vista di orientamento sessuale, provenienza geografica, formazione – favorisce il pensiero creativo, la soluzione dei problemi ed in ultima analisi la redditività. E’ empiricamente dimostrato come un eccesso di omogeneità nei sistemi decisionali delle organizzazione tenda a portare alla ripetizione degli errori e a non cogliere i cambiamenti che si avvicendano nella società e nella tecnologia.
b) Nei settori industriali ad alta crescita e nei servizi avanzati, dove la competizione si basa fortemente sull’acquisire capitale umano di qualità elevata, è irrazionale ridurre il pool di talenti escludendo persone per motivi legati all’orientamento sessuale, alla religione o all’etnia di riferimento. E’ un tema che è stato sviscerato, ad esempio, da Amy Chua. Le organizzazioni di maggiore successo sono in grado di essere aperte al contributo dei gay e cercano attivamente di ridurre le barriere sociali, economiche e culturali che ostacolano la possibilità coglierne le idee, creatività e capacità di lavorare.
Quando si parla di ripresa della ricchezza e dell’occupazione in Italia – un contesto dove spesso si cerca di innalzare nuove barriere culturali invece che abbatterle – ricordiamoci anche della gay economics.

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