Si parla spesso di università con le categorie sbagliate, focalizzandosi unicamente sul dibattito locale e sulla contingenza politica. In realtà la discussione sulla riforma dei sistemi di educazione superiore è vivissima su scala internazionale e stanno uscendo numerosi testi a riguardo, ad esempio Engines of Innovation: The Entrepreneurial University in the Twenty-First Century, The Great Brain Race: How Global Universities Are Reshaping the World e DIY U: Edupunks, Edupreneurs, and the Coming Transformation of Higher Education.
Un filo conduttore di questi libri è la ricerca di modelli di formazione e ricerca capaci di reggere il passo con la complessità del mondo attuale, tendendo verso strutture aperte al mondo esterno, meritocratiche e dotate di proiezione globale. Focalizziamoci su Engines of Innovation di Holden Thorp e Buck Goldstein.
Il testo analizza le modalità con cui le università possono diventare luoghi più imprenditoriali. Non si tratta di qualcosa di nuovo, tantomeno di una moda, ma di un ritorno al passato. Il fenomeno che ha portato i centri accademici ad essere strutture burocratiche e compartimentate, con una rigida divisione tra discipline e spesso una scarsa comunicazione con il mondo esterno, è relativamente recente. Fin dall’antichità i centri di sapere sono stati dei “magneti” capacità di attrarre risorse, persone di talento e idee. Oggi, sostengono gli autori, le università più efficaci hanno la capacità di avere un approccio intraprendente nella gestione dei processi formativi e dei progetti di ricerca. Questo significa essere più rapidi, innovativi, capaci di assumere alcuni rischi, gestendo in modo dinamico e flessibile l’interazione tra risorse di natura differente (derivanti dal settore pubblico, da aziende, da organizzazioni filantropiche, da endowments, dalla rete di alumni, etc.), abbattendo i muri sia interni, che impediscono la collaborazione interdisciplinare, sia quelli esterni, che impediscono uno scambio di informazioni ed esperienze con il mondo esterno.
In secondo luogo, il libro si focalizza su come insegnare l’imprenditorialità. Nel mondo attuale la ricchezza e l’occupazione sono create in misura sempre maggiore da nuove aziende, sia in settori ad alta crescita (ICT, biotech, medicale, cleantech, etc.) sia in settori tradizionali affrontati con un approccio innovativo (come sta accadendo, ad esempio, nell’enogastronomia e nel turismo). E’ un dato molto importante che trascende le discipline tecniche ed economiche: la capacità di creare progetti indipendenti e innovativi è essenziale nei percorsi di carriera correlati a tutte le aree del sapere. Si pensi, ad esempio, alla tematiche della social entrepreneurship e della social innovation, vale a dire l’utilizzo di tecniche imprenditoriali, con focus sulla professionalità e sulla capacità di superare i paradigmi operativi esistenti, per la soluzione di problemi sociali ed ambientali. La creazione di impresa è stata al centro di alcuni progetti formativi di successo, come lo Stanford Technology Ventures Program, e possiamo citare anche degli esperimenti che coinvolgono il nostro paese, come le borse Fullbright BEST.
Infine, il testo analizza la questione dell’organizzazione accademica: i ruoli, la governance, la leadership, le strutture, devono essere in linea con l’obbiettivo della flessibilità e dell’apertura. Questo significa anche un certo livello di tolleranza per il rischio, componente fisiologica dei progetti di natura innovativa. Vuol dire anche una capacità di gestione delle risorse e della complessità che aumenta rispetto al passato, dato che team multidisciplinari che attingono a fonti di finanziamento eterogenee sono difficili da gestire, oltre che nel lato relazionale, anche da un punto di vista amministrativo. Si tratta quindi di un processo di maturazione che deve essere progettato accuratamente, ma che può dare grandi frutti, rendendo le istituzioni accademiche capaci di contribuire maggiormente allo sviluppo culturale, economico e sociale.
Molte delle posizioni sostenute da Thorp e Goldstein sono di grande importanza per il caso italiano, dove la rigidità e la chiusura del sistema accademico sono molto più rilevanti in comparazione con altri contesti. Su questo versante c’è molto da fare: è di grande importanza un’apertura al dibattito internazionale ed una spinta che possa rendere il sistema di istruzione più efficace nel reggere le sfide degli anni a venire.
(articolo originale su Lo Spazio della Politica)