giovedì 14 luglio 2011

5 tesi sulla bolla nell'angel investing


1. La bolla c’è: è chiaro, da diversi mesi, che si sta sviluppando una bolla nelle valutazione degli investimenti early stage, con particolare riferimento al settore internet&mobile negli Stati Uniti. Le startup oggi possono raggiungere valutazioni iniziali pari ad un vero e proprio multiplo di quello che era possibile solo 12 o 24 mesi fa. Ciò che prima era valutato 10, a parità di stadio di sviluppo, ora vale 30, 40 o più. Le decisioni di investimento di bassa qualità, specialmente nell’angel investing, rischiano di moltiplicarsi e prima o poi la catena – nei successivi cicli di finanziamento o nelle exit – si potrà spezzare. I segnali sono evidenti sia sul lato finanziario che su quello comunicativo. Allo stesso tempo, ci sono segnali in controtendenza: molti dei principali attori del settore parlano di “bolla”, una forma di consapevolezza che tendenzialmente scarseggia nei momenti di euforia irrazionale.
2. Non è detto che la dinamica avrà un crash rovinoso. Ci sono alcune analogie con la bolla delle dot.com degli anni ‘90, l’inflazione delle retribuzioni in alcuni grandi gruppi tecnologici, la diffusione delle buzzword, la corsa recente alle quotazioni. Ma altri fattori sono molto diversi: il focus allora era legato ai mercati azionari, chiunque parlava delle internet stocks e buona parte delle aziende dot.com aspiravano a quotarsi rapidamente senza business model o impianti finanziari solidi. Oggi la situazione è diversa: il problema è prevalentemente a monte, nelle aziende nella primissima fase del loro ciclo di vita che stanno ricevendo decine di milioni di dollari di investimenti, molto meno nei mercati azionari, dove la situazione è mista e, per il momento,meno preoccupante(un misto di IPO di aziende assolutamente sane, come Linkedin, meno sane, come Groupon, o sane ma potenzialmente sopravvalutate).Rispetto agli anni ’90 altre cose sono cambiate: la qualità media dei modelli di business è più elevata, gli investitori tendono ad essere più cauti e la Silicon Valley non è più l’unico epicentro.
3. La bolla in Italia rischia di arrivare in ritardo e nel modo peggiore. La bolla in Italia è arrivata solo in parte. Da un punto di vista finanziario c’è ben poco: anche se si stanno moltiplicando i programmi di accelerazione di startup, il contesto è ancora ostile. E’ difficile raccogliere fondi e le retribuzioni degli sviluppatori sono assolutamente sotto la media degli altri paesi avanzati. E’ invece arrivata pienamente la bolla da un punto di vista mediatico: circolano sempre più le parole“internet, startup, innovazione”. Questa bolla comunicativa non è negativa in sé (abbiamo assolutamente bisogno di internet, startup, innovazione) ma a volte lo diventa perché non si traduce in atti concreti: le misure per migliorare l’ecosistema dell’innovazione sono poche e costruire imprese ad alto potenziale di crescita rimane incredibilmente difficile.C’è il rischio che la bolla, in senso finanziario, arrivi in ritardo e nel modo peggiore: i capitali potrebbero affluire proprio poco prima che salti il meccanismo. Bisogna evitare questa prospettiva.
4. L’economia digitale sopravviverà al ciclo economico. Se la bolla non si tradurrà in un ciclo economico normale, con una flessione naturale e smorzata, allora ci sarà il rischio di una discontinuità nel settore. Questo, come è accaduto più volte nel passato, potrebbe portare alla temporanea riduzione dei capitali messi a disposizione, alla perdita di posti di lavoro, alla rinormalizzazione delle retribuzioni ed alla perdita dell’aura “cool” del mondo web/mobile. Tuttavia, indipendentemente da quanto sarà forte l’atterraggio, la bolla non ridurrà l’impatto di lungo termine dell’economia digitale. La trasformazione socio-tecnica creata dai network e dalle tecnologie dell’informazione, fuori dalla contingenza economico-finanziaria,continuerà a cambiare in modo radicale il nostro modo di vivere, di lavorare e di pensare.
5. L’Italia ha comunque bisogno delle imprese ad alto potenziale. Bolla o non bolla, moda o non moda, creare startup in Italia resta piuttosto difficile. Servono molti ingredienti: le persone, la cultura, il capitale di rischio, le università, il contesto. Dai noi fare innovazione è molto complesso, nonostante il fatto che se ne parli continuamente. Cerchiamo di superare questa prospettiva: l’economia del nostro paese ha bisogno di mitigare i suoi limiti strutturali e di adattare i suoi settori tradizionali alla dinamica dell’economia globale.Ha bisogno di startup – vale a dire di imprese ad alto potenziale – indipendentemente dalle mode del momento. Come è stato già argomentato, questo è uno degli ingredienti fondamentali per produrre ricchezza e creare posti di lavoro in modo sostenibile nel tempo.
(articolo originale su Lo Spazio della Politica)

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