sabato 28 luglio 2012

Verso Harvard: né cervello né fuga


Sto partendo per gli Stati Uniti, andrò due anni alla Harvard Kennedy School dove mi occuperò di policy, finanza ed innovazione. Continuerò a scrivere a distanza, cercando di raccogliere e trasmettere stimoli ed osservazioni. Ci tengo però a sottolineare una cosa: non sono un cervello in fuga.
Partiamo dalla prima parte: non sono un cervello.
L’esperienza che sto per fare deriva in parte da circostanze fuori dal mio controllo, in parte da una continua iterazione e tentativo di miglioramento che è alla portata di tutti.
Non ho avuto un percorso lineare, ho cambiato spesso traiettoria ed ho vissuto in sei città diverse in pochi anni. Sono nato in una città di provincia, Pescara.  Ho avuto un importante vantaggio iniziale, vale a dire due genitori intelligenti che, provenendo entrambi da background economici svantaggiati ed essendosi successivamente fatti strada nella vita, hanno attribuito grande importanza all’impegno nello studio e nel lavoro. Pescara è bella quando si è piccoli ma successivamente, se si hanno ambizioni culturali, scientifiche o creative, diventa stretta. Paradossalmente questo è stato un punto di forza: da allora ho capito quanto un contesto, il frame cognitivo dei tuoi conoscenti, può determinare la tua vita, i tuoi pensieri, i tuoi standard di ambizione. In città avevo costruito un micro-mondo difensivo per acquisire stimoli, un interesse per le bbs e poi per internet, per le controculture, per alcune forme di attivismo sociale. Tutto questo dopo non ha retto. Dopo la laurea e un’esperienza di lavoro di sei mesi in Confindustria, a contatto con le imprese del territorio, sono approdato a Milano per il dottorato di ricerca in Bocconi. Questo percorso, unito al Collegio di Milano, mi ha cambiato prospettiva, anche se già avevo effettuato alcune esperienze prolungate all’estero. Parte dei miei interessi e attività, che nella mia città di origine erano considerati solo cose bizzarre o perdite di tempo, per le quali di fatto mi sentivo in colpa, a Milano erano utili, talvolta creavano opportunità di crescita professionale e di reddito. Avere interessi divergenti (tecnologie informatiche, macroeconomia, politica) poteva essere un pregio e non un limite. Un mix di stimoli, dalle persone di talento del Collegio, alla ricerca di dottorato sul caso Olivetti al riaccendersi di un vecchio interesse personale per le tecnologie in rete mi ha fatto avvicinare al mondo delle startup. Dopo il Ph.D. sono andato a lavorare di nuovo in Confindustria per un anno, prima a Varese e poi a Roma. Mentre ero alle prese con la parte più “old” del nostro mondo imprenditoriale, visitando decine di capannoni nel varesotto e nel gallaratese, parlando con gli imprenditori, analizzando decine di bilanci e valutandone il merito di credito ho iniziato a lavorare a diversi progetti digitali, di notte e nei weekend. Alcuni hanno avuto successo, altri meno. Il mio contributo a Lo Spazio della Politica ha iniziato ad espandersi durante questo periodo, poi culminato con l’organizzazione di Butterfly Web. Sono anni caratterizzati da mille tentativi e fallimenti, in cui ho fatto una moltitudine di errori. Decine di volte ho detto o scritto cose sbagliate o inappropriate nel corso di incontri con potenziali investitori, colloqui di lavoro, application per grant di ricerca o simili. Poi alcune sono andate bene, dai premi alle esperienze di lavoro gratificanti. Ma per ogni successo c’è stato un cimitero sterminato di tentativi.
Tutto questo ci porta al punto successivo: non sono in fuga.
Negli ultimi due anni ho fatto un lavoro fantastico, occupandomi di gestione degli investimenti in un fondo di venture capital, Annapurna Ventures. Ho avuto la fortuna di lavorare con l’ex country manager di Google Italia, e con decine di imprenditori intelligenti. Ho avuto anche la possibilità di collaborare come docente per il Collegio di Milano, dove ho strutturato un corso sul tema imprenditorialità e tecnologie in rete, e come advisor per l’American Chamber of Commerce. Sostanzialmente non sto fuggendo, perché sono e sarò coinvolto con l’Italia con vari progetti, da RENA a LSDP, e perché mi lascio alle spalle qualcosa di positivo. Ha però prevalso la voglia di esplorare e di realizzare un sogno che avevo da molti anni. Ho fatto application solo per Harvard, one shot. E’ andata meglio del previsto, oltre all’ammissione un finanziamento completo, con la possibilità di mantenermi in modo dignitoso. Ho una dolcissima compagna che mi sta supportando, e sopportando, e che non è intimorita dalla prospettiva di cambiamenti radicali, nell’incertezza se riusciremo a riunirci negli Stati Uniti, in Italia o altrove.
Tutto ciò avviene dopo un retroterra di false partenze, tentativi abortiti, varie esperienze che hanno lasciato con l’amaro in bocca. Con il senno di poi molte di queste hanno portato le lezioni e le decisioni migliori. Ad esempio, ricordo che la decisione di tentare Harvard è “arrivata” dopo un’importante stangata. Avevo appena fallito l’ultimo colloquio con i partner di Y Combinator, un acceleratore d’impresa americano, dove avevo presentato un progetto con due amici. Penso quindi che porsi obiettivi elevati, talvolta irrealistici, sia molto utile e consenta di raggiungere altre mete e successi non previsti.
Sottolineo anche il fatto che “noi siamo rete”: i nostri pensieri, ambizioni e decisioni sono fortemente determinati dal contesto, che non scegliamo, ma la buona notizia è che almeno in parte c’è la possibilità di creare il nostro mondo e di agganciarci a contesti positivi e persone proattive. Oggi, con le tecnologie in rete, è molto più facile che nel passato. Interagire costantemente con individui che intendono migliorare il proprio paese (come i ragazzi di LSDP, RENA o The Hub), che magari vogliono cambiare il mondo (come la rete di startup italiane o gli alumni della Singularity University) o che vogliono avere un impatto rilevante in ambito professionale e accademico (dal Collegio di Milano alla Bocconi), ha cambiato profondamente anche me. Inoltre, è bello vedere quando si genera una spirale positiva, quando all’interno di una rete si riesce anche a distribuire energia e stimoli, oltre che a riceverli. Ha sempre meno senso parlare di fuga in senso stringente: so che nei prossimi anni, in Italia o all’estero, sarò sempre “connesso” a queste reti ed avrò modo sia di contribuire che di attingere ad esse. Sia individualmente che collettivamente ci saranno possibilità di sperimentazione, apprendimento ed evoluzione, occasioni con cui riusciremo a cambiare sia noi stessi che il mondo attorno a noi.

3 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  2. Sante parole e spirito giusto.
    Condivido appieno il ragionamento su quanto siano educative le bastonate che inevitabilmente si prendono nel percorso del proprio fare.
    Hai tutta la mia stima, in bocca al lupo!

    RispondiElimina